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C’è un futuro per il sito di EXPO Milano 2015?

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    Aggiornamento 11 Ottobre 2015
    Il ministro dell’Agricoltura con delega ad EXPO, Maurizio Martina, ha annunciato che il Governo entrerà come socio ufficiale in Arexpo (la società a partecipazione pubblica proprietaria del sito di EXPO) e che come già anticipato in questo articolo, il piano è di convertire il sito di EXPO in un campus di ricerca gestito dall’Università Statale di Milano. http://www.mauriziomartina.it/il-governo-entra-nella-societa-che-possiede-larea-di-expo/
    L’idea è di creare “il nostro Max Plank delle energie per la vita” (ci si riferisce presumibilmente al celebre centro di ricerca scientifica Max Plank Institute di Monaco. Non vengono forniti maggiori dettagli sul progetto). I costi della riconversione, e se essi siano a carico della mano pubblica, di quella privata o di un mix delle due, non sono ancora definiti, benché le esperienze del passato lascino sospettare che fondi pubblici giocheranno un ruolo rilevante nell’operazione.
    Il ministro ha anche anticipato che il Padiglione Zero ed il Padiglione Italia verranno probabilmente conservati “a testimonianza della bellezza e della profondità del lavoro fatto”. Di certo, considerando il cambio di prospettiva ed il fatto che in origine ci si aspettava che la riqualificazione del sito fosse a costo zero per la collettività, il dibattito si farà ancora più caldo di quanto già sia.


    C’è davvero un futuro per il sito di EXPO Milano 2015?
    Riccardo Bianchini, Inexhibit

    Manca ormai poco alla fine di EXPO Milano, ed il dibattito su cosa fare con il milione di metri quadrati del suo sito, dopo la fine dell’esposizione, si fa di giorno in giorno più acceso.

    EXPO 2015 occupa un’ex area industriale e logistica al confine nord-occidentale dell’area urbana di Milano, appena oltre il complesso fieristico di Rho-Pero.

    Nonostante sia collegato con il centro città dalla metropolitana, dal tram e da percorsi ciclabili, il sito viene in genere percepito come marginale nel tessuto urbano della città, sia dal punto di vista urbanistico che da quello appunto percettivo. Sembra difficile pensare che in futuro i milanesi possano considerare quest’area come un punto di riferimento, a meno che non vi siano trasferite funzioni di grande interesse.

    Copertina: il padiglione degli Emirati Arabi Uniti, progettato da Norman Foster, foto © Inexhibit, 2015

    LA zona in rosso indica la posizione del sito di EXPO nell’area urbana di Milano

    L’asse principale del sito di EXPO, il cosiddetto “decumano”; foto © Inexhibit, 2015

    Come noto, il masterplan originale di Stefano Boeri, Jacques Herzog, Richard Burdett e William MacDonough, mai compiutamente realizzato, prevedeva aree verdi, canali e zone d’acqua, ma i progettisti rimanevano piuttosto vaghi sull’uso futuro del sito, ipotizzando “(…) un parco botanico e agricolo, un grande parco a tema sulle condizioni bioclimatiche planetarie, aree di coltivazione e produzione agricola per la distribuzione e il consumo di prossimità, aree di rinaturalizzazione, includendo naturalmente quote di residenza e tutte le altre funzioni che sono complementari all’agricoltura. Ma anche il villaggio Expo rimarrà come zona residenziale affacciata sul verde e sul canale. E qualcuno dei padiglioni tematici potrà restare ed essere riconvertito per altri utilizzi, come centro studi RAI ad esempio (…)”. http://stefanoboeri.net/?p=766&lang=it. Il che ad essere sinceri pare più un auspicio che una strategia dettagliata.

    L’unico edificio pensato per restare dopo il termine di Expo il Padiglione Italia, col suo grande parallelepipedo di 14.000 metri quadri rivestito in candido calcestruzzo. Nessuno però ha sinora sviluppato un piano preciso su quale ne potrebbe essere l’uso futuro.
    Si è ipotizzato di farne un edificio per l’università, un centro di ricerca, o una struttura espositiva; in tutti i casi è presumibile che i costi di riconversione possano rivelarsi alquanto rilevanti.

    Ma adattare il padiglione Italia potrebbe essere un gioco da ragazzi in confronto a riconvertire a nuova funzione (ed a reperire i relativi finanziamenti) il rimanente milione di metri quadri su cui il sito di Expo 2015 si estende.

    Piantina del sito di EXPO Milano 2015

    Una prima questione sul piatto è se sia meglio conservare i padiglioni istituzionali (ovvero decine di edifici realizzati con materiali e tecniche costruttive differenti) piuttosto che smontarli e liberare completamente l’area.

    Le nazioni partecipanti si sono impegnate a smantellare i loro padiglioni e lasciare libero il lotto a loro assegnato entro Giugno 2016, sette mesi dopo la chiusura di Expo. Ecco quindi che ipotesi alternative andrebbero elaborate in tutta fretta. In caso contrario si rischia che i costi di smontaggio ricadano sull’organizzazione invece che sui singoli paesi, e si parla di svariati milioni di euro e della gestione di un processo di smaltimento che a molti farebbe tremare i polsi.

    Alcuni dei paesi partecipanti hanno preparato da tempo una strategia per il riuso dei loro padiglioni, come la Svizzera che ha progettato il proprio edificio in modo da essere facilmente riconvertito in quattro serre urbane da collocare in città diverse della Confederazione, o gli Emirati Arabi, che prevedono di smontare il loro, progettato da Norman Foster, e riassemblarlo a Masdar City.
    Una rapida occhiata all’insieme dei padiglioni fa però sospettare che non tutti si prestino così facilmente ad una riconversione indolore.

    IL padiglione Italia, progettato da Studio Nemesi, si estende su circa 14.000 metri quadri, foto © Inexhibit, 2015

    Il padiglione Svizzero, foto © Inexhibit, 2015

    Un altro punto caldo è che un piano funzionale ed economico per il riutilizzo del sito ancora non esiste.

    Nel novembre 2014, una gara organizzata per trovare soggetti disposti ad acquistare e sviluppare l’area nei prossimi anni è andata deserta, per ora nessun imprenditore privato pare interessato all’argomento. Di conseguenza l’ente proprietario dell’area, Arexpo, è ora in cerca di una soluzione nuova.

    L’ipotesi oggi più accreditata è di convertire l’intero sito in una cittadella universitaria, il che presumibilmente implicherebbe di iniettare centinaia di milioni di euro di denaro pubblico nel progetto.

    Un’ipotesi alternativa, proposta dal governatore della Lombardia Roberto Maroni, è di creare una “Città dello Sport” che comprenda tra l’altro uno stadio di atletica, piscine, residenze ed un palazzo del ghiaccio. Idea che è improbabile si riveli molto meno costosa della precedente.

    Il padiglione Ceco, foto © Inexhibit, 2015

    Vi è anche chi propone di lasciare il maggior numero possibile di paglioni in loco e di utilizzarli per nuove funzioni, ad esempio all’interno di un sito dedicato al cibo in modo permanente.
    Il problema è che praticamente tutti i padiglioni sono stati concepiti come strutture temporanee, il che fa ragionevolmente sospettare che i costi di manutenzione possano rivelarsi proibitivi, in più molti di loro sono stati “tagliati intorno” alla mostra presentata da ogni partecipazione nazionale, e convertirli ad un diverso tema espositivo potrebbe richiedere lavori di adattamento complessi e costosi.

    I padiglioni della Polonia e di Banca Intesa,  foto © Inexhibit, 2015

    Un dubbio sale prepotentemente alla mente: perché una vera strategia di riconversione del sito non è stata elaborata in anticipo?
    Non dovrebbe questo essere un requisito obbligatorio per l’assegnazione di una simile manifestazione?

    Ha ancora un senso organizzare un evento che dura sette mesi, che occupa oltre un milione di metri quadri, e la cui organizzazione è costata almeno un miliardo e mezzo di eruo, in assenza di un piano urbanistico ed economico dettagliato che prefiguri cosa fare, dopo, del sito espositivo e delle strutture che su esso sono state costruite?

    Il tema dei Expo 2015 è “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”; è difficile pensare che un uso responsabile delle, assai rilevanti, risorse naturali, fisiche, umane ed economiche impiegate per un evento incentrato su tale tema sia meno che irrinunciabile

    Nulla si può realmente considerare “ad impatto zero”, è un’illusione, se non altro termodinamica, pensare che si possa costruire qualcosa senza che questo abbia un qualche impatto, presumibilmente negativo, sull’ambiente.

    Il punto è dunque di trovare un bilanciamento ragionevole, un saldo positivo, tra il consumo di risorse essenziali ed un risultato favorevole e duraturo per la comunità ed il complesso di persone che la compongono. La vera sfida per Expo Milano 2015 è diventata questa, oggi.

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