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La mostra ai Giardini – Biennale Arte 2019, Venezia

  • Antoine Catala, It's Over, Giardini exhibition, 58th Venice Art Biennale 2019 Inexhibit

    Antoine Catala, It’s Over, mostra nel Padiglione Centrale dei Giardini, 58a Biennale di Arte di Venezia. Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Biennale di Arte di Venezia 2019, “May You Live in Interesting Times” – la mostra ai Giardini di Castello

    Ai Giardini di Castello c’è la seconda parte di ‘May You Live in Interesting Times’.
    Il curatore Ralph Rugoff ha suddiviso la mostra in due parti, Proposta A, all’Arsenale – nelle Corderie e Artiglierie – e Proposta B, nel Padiglione Centrale dei Giardini di Castello.

    Vi invitiamo a vedere il nostro contributo dall’Arsenale qui.

    Pianta della mostra nel Padiglione Centrale ai Giardini; immagine gentilmente fornita da La Biennale di Venezia

    Di seguito trovate una piccola selezione di opere che abbiamo scelto di presentare.


    Ryoji Ikeda, Spectra III, 2008-2019
    Percorrere il corridoio ‘kubrikiano’ di Ikeda, allestito all’inizio della mostra del Padiglione Centrale, è un’esperienza forte: il bianco accecante, quasi impossibile da sopportare senza occhiali da sole, è la rappresentazione dell’intensità di dati che pervadono il nostro tempo. Uno spazio saturo, che genera una specie di disorientante tabula rasa sensoriale.

    Ryoji Ikeda, Spectra III. Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Sun Yuan e Peng Yu, Can’t help myself, 2016
    Impressionante installazione basata su un robot industriale antropomorfizzato, programmato per compiere 32 sofisticati movimenti ispirati a quelli umani. La macchina si sposta agilmente nello spazio recintato, ruota su se stessa, estende il braccio che controlla e raccoglie ossessivamente il liquido rosso che scivola verso i bordi del pavimento, liquido che per i due artisti è la metafora dell’arte e del suo opporsi a ogni tentativo di essere classificata e incasellata. L’opera è stata originariamente prodotta per la mostra “Tales of Our Time” al Guggenheim di New York.

    Sun Yuan e Peng Yu, Can’t help myself. Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Zanele Muholi, serie Somnyama Ngonyama, Hail the dark Lioness, 2012 – in corso
    Gli autoritratti di Zanele Muholi, che preferisce definirsi attivista visiva anziché artista, sono provocatori: lo sguardo non è mai diretto all’obiettivo della macchina ma allo stesso tempo il contrasto fra il nero della pelle e la definizione eccessiva degli ornamenti spingono a mettere in discussione il desiderio di chi guarda di fissare l’immagine.

    Zanele Muholi, serie Somnyama Ngonyama, Hail the dark Lioness. Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Njideka Akunyili Crosby, And we begin to let go, 2013; 5 Umezeby Street, New Haven Enegu, 2012; Mama, Mummy and Mamma (Predecessor #2) 2014.
    Interni domestici e ritratti in grande formato nei quali piccoli ritagli di giornali, particolari di fotografie di famiglia e di immagini tratte da riviste patinate nigeriane sono accostati e sovrapposti a formare complesse tessiture. Nell’insieme Njideka Akunyili Crosby costruisce quelli che definisce come “spazi transculturali, una specie di terra di nessuno”.

    Njideka Akunyili Crosby, And we begin to let go; 5 Umezeby Street, New Haven Enegu; Mama, Mummy and Mamma (Predecessor #2). Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Gabriel Rico, II (dalla serie More robust nature …More robust Geometry) / Fauna II / Venticuatro, 2018
    L’artista messicano Gabriel Rico usa oggetti di natura molto diversa: tassidermia, frammenti di legno, sassi e prodotti industriali della cultura di massa, per creare componimenti che si misurano con l’architettura, l’ambiente e le future rovine della civilizzazione.

    Gabriel Rico, (da sinistra a destra) II dalla serie More robust nature …More robust Geometry, Fauna II, Venticuatro. Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

    Shilpa Gupta, Untitled, 2009
    L’opera di Shilpa Gupta si rivolge all’esistenza fisica e ideologica dei confini, svelandone le funzioni arbitrarie e repressive. I suoi lavori esplorano le aree interstiziali tra stati nazionali, le divisioni etniche e religiose e le strutture di sorveglianza. ‘Untitled’ è un cancello metallico residenziale, di quelli che chiudono i vialetti e i giardini privati, ma questo, con le sue punte esageratamente lunghe e una cornice metallica sporgente, oscilla avanti e indietro seguendo la sua propria volontà e colpendo con aggressività la parete della sala fino ad incrinarla.

    Shilpa Gupta, Untitled (cancello metallico). Foto ©  Riccardo Bianchini / Inexhibit

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