L’incredibile storia dell’ISO/BMW Isetta, la prima city car

L'incredibile storia dell'ISO/BMW Isetta, la prima city car italiana
Foto:© BMW AG
brochure pubblicitaria: © John lloyd / Flickr

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Una BMW Isetta in mostra al Museo BMW di Monaco di Baviera. Foto courtesy BMW

L’incredibile storia dell’ISO/BMW Isetta, la prima city car

I primi anni Cinquanta furono anni irripetibili nella storia del design dell’automobile. L’Europa voleva disperatamente lasciarsi dietro la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi lutti e le sue distruzioni e celebrare, anche attraverso nuovi mezzi di locomozione individuale e familiare, la pace ritrovata. I tempi erano maturi, la ricostruzione delle città e del tessuto produttivo migliorava il benessere dei cittadini e si apriva la strada all’ascesa di quella mobilità di massa che diventerà una costante dei decenni successivi.
Allo stesso tempo, gli anni del conflitto avevano lasciato, come “scoria positiva”, una gran mole di progetti e tecnologie sviluppati in ambito militare che ora potevano essere applicati all’ambito civile, in particolare in quello dei mezzi di trasporto.
Fiat 500 e 600, Piaggio Vespa, Innocenti Lambretta, Citroën 2CV, Citroën DS, Porsche 356, Morris Mini Minor, Volkswagen T1 Transporter; in soli dieci anni, dal 1948 al 1958, vennero introdotti sul mercato, da costruttori Italiani, Francesi, Inglesi e Tedeschi, una miriade di modelli che avrebbero cambiato per sempre il modo in cui usiamo i mezzi di trasporto privati.
Molti di quei modelli si basavano su tecnologie militari del decennio precedente, e sulla disponibilità di linee di produzione meccanica “gonfiate” dalle necessità belliche e ora sottoutilizzate.

La ISO Rivolta Isetta

Tra gli industriali che videro queste opportunità c’era anche un ingegnere lombardo, Renzo Rivolta, che produceva scooter e motocilette con la sua ISO Spa, e che pensava che i tempi fossero maturi per un nuovo tipo di vettura di dimensioni ridottissime.
Nel 1951, Rivolta incaricò due giovani ingegneri aeronautici, Ermenegildo Preti e Pierluigi Raggi, di disegnare una piccola automobile che potesse utilizzare uno dei motori da motocicletta che l’azienda già fabbricava. Il risultato fu una vettura, che oggi chiameremmo city car, del tutto straordinaria che fu presentata al Salone di Torino nel 1953.
Microscopica, era lunga 2,29 metri, e motorizzata da una unità bicilindrica a due tempi da 236 centimetri cubici e 9,5 cavalli, la macchina, chiamata Isetta, poteva accogliere due persone  e raggiungeva la velocità di 75 chilometri orari.
La particolare forma ‘a uovo’ era stata pensata per massimizzare lo spazio abitabile e garantire ampie vetrature; dato che il piccolo motore era posteriore, l’ingegner Preti decise di dotare la macchina di un unico portellone anteriore, incernierato lateralmente, attraverso il quale i passeggeri entravano nella vettura. Anche il piantone dello sterzo era stato incernierato e collegato al portellone per facilitare l’accesso, mentre la parte posteriore, oltre al motore, era  completata da un piccololissimo vano bagagli.

Grazie all’uso di una scocca portante in lamiera e delle ridotte dimensioni, Isetta pesava meno di 500 chili; come per la Fiat Topolino e la Fiat 500 il tetto era in tela ed era apribile, requisito al quale gli italiani dell’epoca parevano tenere molto. Una caratteristica peculiare era la diversa carreggiata delle ruote, con quelle posteriori assai ravvicinate, un’eredità del primo prototipo che di ruote ne aveva solo tre ma che si era rivelato poco sicuro. Una griglia sulla fiancata destra permetteva di ventilare il motore raffreddato ad aria. Oltre che nella forma generale e nelle soluzioni tecniche l’eredità aeronautica si notava anche dal disegno della generosa vetratura, composta da sei vetri di cui alcuni a doppia curvatura, una vera raffinatezza per l’epoca.
Nonostante le soluzioni innovative e le ottime caratteristiche tecniche (la tenuta di strada era leggendaria e i consumi ridottissimi), l’Isetta non ebbe grande successo presso il pubblico italiano. Il prezzo era vicino a quello di “auto vere” a quattro posti, come la vecchia Fiat 500 Topolino e la futura “Nuova 500” , senza contare che negli anni ’50 il problema del traffico e della carenza di parcheggi non era sentito come oggi.

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Brochure pubblicitaria con vari modelli della BMW Isetta. Courtesy of John Lloyd / Flickr

Le Isetta di BMW

La storia dell’Isetta sembrava quindi conclusa, ma le cose non andarono come ci si poteva aspettare. Nel 1954 infatti, la macchinina italiana colpì l’attenzione del management di BMW. La casa tedesca versava in cattive acque e cercava di introdurre nuovi modelli senza potersi premettere grandi investimenti. In particolare, i tedeschi desideravano mettere in listino una macchina da città, piccola e che consumasse poco, e la vettura di Rivolta sembrava perfetta, al punto che chiesero all’azienda milanese di poterla produrre su licenza.
Nacque così la BMW Isetta 250; prodotta a partire dal 1955, il modello condivideva con la Isetta italiana praticamente tutto tranne il motore (la BMW utilizzò infatti un suo motore motociclistico quattro tempi da 250 cc e 12 cv) e piccole modifiche alla carrozzeria (i fari in particolare vennero spostati più in alto); la prima versione costruita in Germania era inoltre dotata di riscaldamento di serie, assente nell’originale.

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Una pubblicità del modello “Standard” della BMW Isetta 250; © BMW AG

La BMW produsse varie versioni dell’Isetta, in configurazione standard e deluxe, con due diversi motori (da 250 inizialmente e dal 1956 da 300 centimetri cubici) e in 45 colori.
Per i parametri odierni la vettura era tremendamente insicura; in caso di urto frontale, ad esempio, l’unica via di uscita per gli occupanti era il tettuccio apribile. Ma questo non era considerato un difetto così grave dato che, nei primi anni Cinquanta, molte automobili erano tanto insicure quanto la Isetta che, è bene ricordarlo, in Germania era immatricolata come motocicletta. Ciò nonostante, BMW cercò di porre rimedio al problema, aggiungendo nelle versioni più tarde dei paraurti molto sporgenti in acciaio.
Incredibilmente, la Isetta di BMW fu subito un successo, ne vennero prodotte oltre 160.000 esemplari fino al 1962, compresa una versione allungata a quattro posti (La BMW Isetta 600), finché la concorrenza della Volkswagen Maggiolino la rese non più concorrenziale.
Versioni dell’ Isetta furono prodotte su licenza anche da Velam (Francia), Isetta of Great Britain (Regno Unito), Metalmecánica (Argentina) e Romi (Brasile).

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Cary Grant a bordo dell’Isetta; foto © BMW AG

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Due foto dell’Isetta modello standard. foto © BMW AG

Riguardandola oggi, ci accorgiamo di quanto  Isetta fosse una vettura rivoluzionaria.
Si trattava in effetti, oltre che della prima citycar, anche della prima monovolume prodotta in serie (la Fiat 600 Multipla la seguirà di quattro anni).
Anche l’intuizione di privilegiare lo spazio abitativo, il comfort e la luminosità interna avrà una grande influenza nel design dell’automobile, e in effetti, al di là delle soluzioni di dettaglio, il concetto generale della vetturetta di Rivolta (due posti secchi, motore posteriore, trazione posteriore, meno di 2 metri e mezzo di lunghezza, forma aereodinamica, bassi consumi, preminenza dello spazio abitabile su bagagliaio e motore, superfici vetrate proporzionalmente grandi, tettuccio apribile) rimarrà pressochè invariato, trentasei anni dopo, nella fortunatissima Smart Fortwo, guardacaso un’automobile tedesca.


Galleria delle immagini

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Da sopra: Isetta a Monaco; Il modello Standard a confronto con il modello Export e l’interno del modello Export.


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