NFT, cosa sono i Non Fungible Token nell’arte, in parole semplici
Immagine © Riccardo Bianchini/Inexhibit.
NFT, cosa sono i Non Fungible Token nell’arte, in parole semplici
Si sente sempre più parlare dell’uso dei NFT (acronimo per Non-Fungible Token) nel mondo dell’arte; nel fiorire di articoli e chiacchiere varie sull’argomento, spesso si da’ per scontato che il lettore sappia bene di cosa si stia parlando. Purtroppo questo è raramente vero, i NFT sono infatti argomento piuttosto ostico per chi sia digiuno sia di tecnologia che dei meccanismi del mercato dell’arte digitale. In questo breve articolo cercherò di spiegare in parole semplici cosa sono gli NFT, come funzionano e che ruolo potranno avere nella creazione e nel commercio dell’arte contemporanea.
Prima degli NFT, i non-fungible asset
Innanzitutto sfatiamo un mito: un NFT e un’opera d’arte digitale sono cose diverse; un NFT equivale a un opera d’arte tanto quanto il certificato di proprietà di un’automobile è l’automobile stessa. I non-fungible token sono infatti dei certificati digitali digitali (in Inglese token significa contrassegno, simbolo) collegati a un bene (asset in Inglese), digitale o meno. Esistono due tipi di asset: fungible e non fungible 1. Vediamo di che si tratta.
Cominciano con un esempio. Se io faccio una foto con la mia macchina digitale e la salvo sul mio computer, questa è un non-fungible asset, ovvero un bene che non ha eguale al mondo. In Italiano, potremmo tradurre non-fungible asset con “bene unico e inconfondibile”.
Se adesso, faccio dieci copie esatte di quella foto digitale all’interno del mio computer, l’immagine originaria non è tecnicamente più un non-fungible asset, perché la posso sostituire con una qualunque delle copie senza che nessuno si accorga della differenza.
L’immagine non è quindi più unica: è diventata “fungible”, ovvero un bene indistinguibile da altri a lui identici e con essi interscambiabile, come una moneta da un euro o un chilo di ferro. Questa circostanza però rimane limitata alla mia conoscenza, e posso sempre cancellare tutte le copie, tranne una, e tornare quindi ad avere di nuovo il mio non-fungible asset originario.
Se però decido di condividere la mia foto digitale attraverso internet, ad esempio sulla mia pagina Instagram, è possibile che quella foto piaccia, molti utenti la scarichino, magari che diventi perfino virale. A questo punto esisteranno migliaia o decine di migliaia di copie identiche della mia immagine, copie che stanno su innumerevoli computer in giro per il mondo e su cui non ho più alcun controllo. Dopo un certo tempo è probabile che sia sia persino persa memoria di chi sia l’autore originale di quella fotografia, ovvero che chi l’ha realizzata e pubblicata inizialmente sia proprio io.
Certo, all’inizio ne avrò probabilmente ottenuto una soddisfazione personale e forse un certo numero di follower in più; dopo un po’ di tempo però quell’effetto probabilmente sarà svanito. Io non ho quindi ottenuto alcun beneficio economico dalla mia immagine di successo; quel beneficio è invece riservato alla piattaforma di pubblicazione che ne ha ricavato un guadagno in termini di “user engagement“ e di conseguenti introiti pubblicitari, e magari pure a qualche altro soggetto commerciale di pochi scrupoli che l’ha scaricata per poi venderla stampata su tazze e magliette, magari attribuendone a se stesso il copyright (non stupitevi, mi è già successo).
Questo è uno scenario molto comune, ben conosciuto a chi produce una qualche forma d’espressione artistica in formato digitale.
Il problema si chiama attribuzione, o authorship, ed è che fino ad oggi non esiste un modo veramente efficace per attribuire univocamente un’opera d’arte in formato digitale, ad esempio una foto, al suo autore2. Ed è qui che entrano in campo gli NFT.
Come funzionano i non-fungible token
Per associare a un non-fungible asset digitale un autore e un proprietario, ad esempio, ho bisogno di collegarlo a un “documento” che contenga tali informazioni; questo è lo scopo degli NFT.
In genere si pensa che gli NFT siano un sottoprodotto delle criptovalute, forse perché chi tra i primi li ha sviluppati è la piattaforma Ethereum, famosa per essere la “mamma” della seconda più diffusa criptovaluta dopo Bitcoin. In realtà, sebbene possano relazionarsi tra loro in vari modi, NFT e criptovalute sono due applicazioni differenti e parallele della cosiddetta blockchain.
Una blockchain è un archivio digitale distribuito in vari computer tra loro comunicanti che conserva e mantiene costantemente aggiornati un insieme di dati crittografati (organizzati in catene di blocchi, da cui il nome blockchain) che possono fare riferimento alle cose più svariate, dalle transazioni finanziarie a un carico di banane.
I vantaggi di questo sistema è che nessuno lo possiede perché è distribuito tra innumerevoli computer collegati da reti peer-to-peer (ovvero senza un computer principale centrale), che può gestire una mole enorme di dati perché le macchine che vi collaborano (detti nodi) sono molte, e che è sicuro perché il database è replicato su vari computer, e il danneggiamento contemporaneo di una o alcune di loro verrà compensato dall’estrema ridondanza del sistema, inoltre i dati sono crittografati e modificarli con intenti malevoli è difficilissimo (almeno per ora). Infine, la blockchain tiene memoria di tutte le transazioni e i cambiamenti avvenuti in passato e quindi permette di vederne la storia in qualunque momento.
Adesso proviamo ad utilizzare un sistema a blockchain per porre rimedio al problema di attribuire a me la proprietà della mia foto digitale in modo inequivocabile, insieme ad una serie di alte informazioni.
Il primo passo dei protocolli NFT è di attribuire al mio file della foto un codice numerico, ad esempio 123456789.
Il secondo passo è di associare a questo codice il campo “ownerOf(123456789)”, che identifica il proprietario del file, cioè io, identificato a sua volta da un altro codice alfanumerico.
Il terzo passo è solitamente di collegare il codice 123456789 al file immagine vero e proprio, poniamo che si chiami foto.jpg; questo viene fatto attraverso una serie di campi dati che comprendono anche l’indirizzo al quale si trova effettivamente la mia foto, ad esempio https://sitotaldeitali.zzz/foto.jpg.3.
Se in futuro io venderò la mia foto a un cliente, verrà aggiunto alla blockchain un codice identificativo alfanumerico corrispondente al nuovo proprietario del file.
Se poi il nuovo proprietario cederà successivamente ad altri la proprietà della foto, verrà creato un nuovo campo proprietario ownerOf(123456789) sopra i due vecchi, e così via.
Questo metodo non solo identifica (sebbene anonimamente) il proprietario corrente ma, mantenendo memoria dei passaggi di proprietà, identifica anche il creatore della foto, che coincide col primo proprietario, ed è dunque anche una sorta di certificato di autenticità.
Dato però che i campi proprietario sono codici “muti”, ovvero composti da lettere e numeri e non da nomi e cognomi, se io voglio che il mio ruolo di autore della foto sia pubblico, dovrò usare un servizio esterno (ce ne sono svariati) che colleghi il codice identificativo del primo proprietario (ovvero io) al mio nome in chiaro.
Data la natura stessa della blockchain, vengono memorizzati anche tutti i passaggi di proprietà (le transazioni) e i loro importi, generalmente espressi in una criptovaluta, ad esempio Ethereum.
I vantaggi per gli artisti
Ma per me, i vantaggi di associare un NFT alla mia foto quali sarebbero esattamente?
Ignorando le storie di artisti sconosciuti che sono diventati milionari in un giorno vendendo all’asta un lor NFT, al momento i vantaggi potenziali sono principalmente due.
In primo luogo, l’associare in modo permanente alla mia opera digitale il mio nome come autore mi garantisce riconoscimento professionale, protegge il mio lavoro dallo sfruttamento non autorizzato e dall’attribuzione impropria da parte di terzi.
In secondo luogo, dato che le transazioni degli NFT registrate nella blockchain sono pubbliche, si può saper in ogni momento se la mia fotografia è stata rivenduta e a quale prezzo. Questo comporta anche la possibilità di definire una percentuale (tipicamente il 10%) da versare all’autore dell’immagine ad ogni passaggio di proprietà, senza limiti temporali; questo avviene automaticamente, purché lo si sia previsto sin dall’inizio.
Oggi, agli artisti va solitamente il compenso per la sola vendita iniziale, che è spesso anche quella meno rilevante in termini economici in particolare nel caso di artisti giovani o residenti in aree economicamente meno sviluppate. Un caso tipico sono i mercanti d’arte che, in questi anni, sono andati a caccia di giovani talenti nel continente africano, pagando le loro opere il minimo, per poi “pomparle” mediaticamente in occidente ottenendo in guadagni lauti e sempre crescenti ad ogni successiva transazione. Agli artisti originari, di tale fiume di denaro, sono rimaste in tasca solo le prime briciole. In teoria, con gli NFT questa situazione potrebbe finalmente cambiare (il condizionale è d’obbligo) .
Per semplificare la creazione, la gestione e la vendita di NFT da parte degli artisti, che come si vede non è banale, sono nate varie piattaforme a pagamento, una assai popolare è OpenSea, che gestiscono gran parte del processo e fungono anche da archivio dei file digitali a cui sono collegati gli NFT.
Non è tutto oro quel che luccica
Dunque è tutto bene e per gli artisti è pronta una nuova età dell’oro? Purtroppo non è proprio così, e non mancano problemi nell’ecosistema NFT.
Il primo problema, e forse il più serio, è che in nessun modo i NFT garantiscono che ci afferma di essere il primo proprietario e/o il creatore di un bene lo sia veramente. Tornando al mio esempio, una persona disonesta potrebbe ottenere la mia foto dal web, o in un altro modo, e registrarla in un NFT come propria. Questo sta già succedendo e crea serie difficoltà alle piattaforme di gestione dei NFT, obbligandole ad un enorme lavoro di rimozione di NFT “illegali”. Non esiste però, almeno ad oggi, un sistema rapido e affidabile per porvi rimedio.
Proseguendo nei punti critici, si è capito presto che il processo di creazione e gestione dei NFT è estremamente lento ed energivoro e pone seri problemi di sostenibilità ambientale; problema che peraltro condivide con le criptovalute. Si stanno quindi sperimentando soluzioni tecniche (in particolare l’uso di un meccanismo noto come Proof of Stake) che riducano drasticamente la complessità dell’elaborazione della blockchain e gli enormi consumi energetici conseguenti. Questo però comporta probabilmente anche una riduzione dei livelli di sicurezza ed è ancora in fase di sperimentazione.
A causa della necessità di utilizzare piattaforme terze, i costi di trasformazione di un file digitale in un NFT sono piuttosto elevati. Questo lascia dubbi sul fatto che gli NFT possano essere utili in settori a prevalente basso valore aggiunto, come la fotografia digitale, e vengano riservati solo alle opere di pochi artisti affermati, di fatto polarizzando ancora di più un mercato, come quello dell’arte contemporanea, già oggi caratterizzato da disuguaglianze di trattamento e di remunerazione spesso ingiustificate.
Rimane il dubbio sull’affidabilità nel tempo del sistema, nella gran parte dei casi il file vero e proprio (ovvero l’immagine digitale) è conservato in un server terzo e nel sistema esiste solo un riferimento ad esso. Cosa succede se il file originario va perso o se il sito a cui si riferisce sparisce, restituendo un bel 404-file non trovato? Non è inoltre detto che la blockchain sia eterna, ci sono molti scenari futuri in cui questa potrebbe essere distrutta o compromessa.
Un altro problema è che in nessuna parte del processo appena visto esiste un “contratto di vendita” legalmente valido che definisca nel dettaglio i rispettivi obblighi di venditore e acquirente. Il primo compratore della mia foto, cosa ha esattamente acquistato? Il file dell’immagine, il diritto di rivenderla, il diritto di esporla in una mostra? Nulla di questo è definito nella blockchain o nei metadati; in alcuni casi sono le piattaforme di vendita (i marketplace) di NFT che si occupano di definire questi elementi, con quale valore legale è arduo dire.
Di fatto, molto è oggi lasciato all’onestà del creatore iniziale e alla fiducia che intercorre tra venditore e compratore. Servono regole più affidabili, questo è chiaro.
Infine, ricordiamoci che il valore di un bene è sempre legato al mercato. Negli anni, l’enorme numero di fotografie digitali prodotte da decine di milioni di utenti e disponibili sul web ha fatto crollare il prezzo nel settore della fotografia professionale, e questo è successo al di là del valore artistico o tecnico delle foto, ma semplicemente perché il rapporto tra domanda e offerta si è squilibrato enormemente. L’attribuzione autoriale è una bella cosa, ma di per se’ stessa non rende una foto che oggi si può comprare per decine di centesimi in un’opera d’arte da migliaia di euro. Diciamo che gli NFT potrebbero contribuire a rendere un po’ più equo un mercato di per se stesso fortemente squilibrato verso distributori e commercianti a scapito degli artisti.
Una cosa simile l’ho già sentita in passato, ad esempio con l’avvento di internet; speriamo stavolta vada meglio.
Risposte semplici a domande facili
- I NFT sono associabili solo a file digitali?
No, essendo di fatto dei piccoli contratti digitali, i NFT possono essere associati a qualunque cosa, immateriale o fisica ; anche se, per varie ragioni, esprimono al meglio le loro potenzialità quando sono collegati a con beni digitali, di norma 4. - E’ possibile associare un NFT a più di un bene?
In genere no, per sua natura un NFT dovrebbe essere associato ad uno ed un solo bene. Un’eccezione è il caso in cui tale bene sia a sua volta formato da più di un’entità, come nel caso di una serie fotografica. - E’ possibile associare più di un NFT ad uno stesso bene?
Questione spinosa. Non dovrebbe essere possibile ed è probabilmente scorretto, a meno che la cosa non sia dichiarata pubblicamente fin dall’inizio. Però accade, questo si sa. Basta ad esempio modificare, anche di un singolo pixel, una foto digitale perché sia possibile associare alle sue (minime) variazioni un numero praticamente illimitato di NFT. - Quanto costa creare un NFT?
Il costo è assai variabile è dipende dal tempo necessario per creare l’NFT (operazione detta minting) e da altri parametri. A titolo informativo, oggi il costo medio per creare un FT su una piattaforma come OpenSea è comunque di circa 50 euro, ma la forbice va da pochi euro sino a migliaia di euro. - Che rapporto c’è tra NFT e criptovalute?
Come detto, in teoria sono due cose separate, anche se entrambe si appoggiano alla blockchain. Nella realtà i legami possono essere stretti. Se infatti le transazioni dei NFT vengono espresse in criptovaluta, alcuni elementi innovativi dei NFT dispiegano tutte le loro potenzialità. Facciamo l’esempio della commissione del 10% all’autore di un’opera d’arte digitale, se questa viene inserita nelle “condizioni iniziali” del NFT e collegata al portafoglio di criptovaluta dell’autore stesso, il “versamento” della commissione sarà del tutto automatico e avverrà ad ogni transazione senza che nessuno lo possa impedire o opporvisi. Questo trasforma di fatto un NFT in un vero e proprio “contratto intelligente” (smart contract) in teoria immutabile e incancellabile, creando di fatto un vero e proprio sistema economico e di regole parallelo a quello ufficiale, indipendente e distribuito.
Il che, ancora una volta, ha pregi (è veloce e semplice, sfugge dal controllo dei big players e in teoria da’ maggiore libertà agli artisti) e difetti (è poco affidabile legalmente e può prestarsi al riciclaggio e all’uso da parte della criminalità organizzata).
Note
1) La traduzione in Italiano del termine Inglese “fungible” è fungibile, che significa interscambiabile; ho preferito però adottare il termine britannico perché fungibile è da noi parola decisamente inconsueta e poco usata.
2) E in realtà nemmeno al suo “proprietario”, qualunque cosa questo significhi in un campo in cui una cosa può essere replicata identica a se stessa all’infinito.
3) In linea teorica è possibile incorporare nel NFT (o più esattamente nei suoi metadati) l’immagine vera e propria, ma questo ha costi proibitivi date le grandi dimensioni della maggior parte dei file immagine o video (il costo è nell’ordine delle migliaia di euro per megabyte), si preferisce quindi includere nel NFT solo un link ad un file esterno.
Ovvio che, se il file collegato voglio sia disponibile per lungo tempo come si presume sia per un’opera artistica, devo scegliere oculatamente il servizio di archiviazione del mio NFT ma anche di garantire ai potenziali clienti che non altererò i metadati relativi a mio piacere, ad esempio modificando l’indirizzo del file; per questo, l’opzione attualmente preferita è di usare una piattaforma di archiviazione peer-to-peer, ad esempio InterPlanetary File System (IPFS).
4) Specifichiamo un punto che può apparire poco chiaro: gli NFT possono corrispondere non solo a beni digitali ma anche a beni materiali, ad esempio un dipinto su tela o una stampa su carta; il fatto che se ne parli soprattutto per oggetti digitali dipende dal fatto che per i beni fisici, comprese le opere d’arte, esistono già altri modi per garantirne proprietà e attribuzione e ci sono anche meno problemi legati alla duplicazione illecita.
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