Biennale di Architettura di Venezia 2016 | Francia
Curatori: Frédéric Bonnet, OBRAS e Collectif AJAP14
Nouvelle Richesses | Il Padiglione Francese alla Biennale di Architettura di Venezia 2016
Nouvelle Richesses (Nuova Ricchezza) è il titolo della mostra della Francia alla 15a Biennale di Architettura di Venezia. Si tratta di una mostra chiaramente dedicata al ruolo dell’architettura nella società contemporanea, guidata da una forte critica verso un’architettura à la carte, fatta da un pugno di “archistar” per un ristretto numero di persone.
I curatori della mostra- Frédéric Bonnet, OBRAS e Collectif AJAP14 – presentano un insieme di progetti “comuni”, realizzati negli ultimi anni da architetti francesi in varie regioni del paese, pensati per offrire abitazioni, riqualificazioni urbane e infrastrutture sociali di qualità a costi contenuti, caratterizzati da una particolare attenzione ai bisogni reali delle comunità locali.
La mostra è divisa in quattro sezioni, intitolate “Stanza dei Territori”, “Stanza della Narrazione”, Stanza del Saper Fare” e “Stanza del Terreno Fertile”.
“Novelle Richesses” vista della sala d’ingresso del Padiglione Francese alla BIennale 2016, foto (c)Inexhibit
Presentazione ufficiale del Padiglione Francese
(di Frédéric Bonnet, OBRAS e Collectif AJAP14)
Ci fu un tempo in cui l’architettura era semplicemente un’architettura per tutti, legata all’economia ed alle tendenze sociali. Durante l’ultima Biennale, Jean-Louis Cohen ha in un certo senso mostrato come l’energia politica, la mobilitazione dell’industria e la creatività siano necessarie per estendere al massimo gli effetti dell’architettura.
Anche noi siamo stati investiti da questo positivismo. Il lavoro di Gropius o di Taut – decine di migliaia di alloggi, per tutti e di ottima qualità – gli impegni umanisti di Alvar Aalto, la generosa inventiva di Jean Prouvé e lo straordinario fervore rivolto al tema dell’alloggio, dominante fino a vent’anni fa, è il nostro patrimonio. E’ il caso di specificare che tutto ciò nacque in un secolo attraversato da due guerre, che ci lasciò, in due riprese, esangui e devastati, dove servì ricostruire e crescere velocemente. Ricordiamoci che la “Maison Domino” di Le Corbusier è una risposta alle devastazioni dei primi mesi della Grande Guerra vicino alla frontiera belga. Quasi un secolo fa ci trovammo nella stessa condizione da cui scappano i rifugiati al giorno d’oggi. Mentre noi viviamo ormai assopiti nella nostra decadente comodità è necessario che Aravena ci scuota e che ci ricordi l’importanza della responsibilità sociale dell’architetto.
Foto Francesco Galli, courtesy La Biennale di Venezia
E’ certo che egli parla da un altro paese, un altro mondo, il Cile, un paese enormemente prospero di risorse, dove il divario tra molto ricchi e molto poveri e un punto di partenza, uno statua quo, e non, come in Europa, uno stato di decadenza confermato ogni giorno dalla “crisi economica” attuale: le disuguaglianze si accentuano, la classe media si fragilizza, alcune zone si staccano dal resto del territorio.
Ritroviamo molto di ciò in cui crediamo nei propositi di Aravena. Ci chiediamo, con una certa distanza: cosa può apportare di singolare la Francia, con il suo padiglione, al dibattito proposto per le Biennale 2016?
Da queste “notizie dal fronte”, in Francia, vogliamo mostrare come la condizione economica esistente – disuguaglianze crescenti, finanziarizzazione, concorrenza metropolitana mondializzata – dia luogo a una nuova organizzazione che da nuovo significato al termine ricchezza. E’ un approccio risolutamente ottimista. Non crediamo nella concorrenza tra territori, crediamo al contrario che ci siano ovunque immense risorse, complementarietà, valori latenti da scoprire, mettere in moto e fertilizzare.
French pavilion, installation view, photo Inexhibit
E’ uno dei ruoli dell’architettura di oggi. Le politiche pubbliche si indeboliscono, la pianificazione urbana contemporanea assembla prodotti immobiliari il cui restyling di facciata stenta a mascherare la standardizzazione, mentre, qua e la, qualche centinaio di milioni di dollari donano dispendiose illusioni a qualche grande stilista. Noi vogliamo testimoniare tutto il resto, meno noto, che emerge tuttavia ovunque, nei territori ordinari, e che rivela insospettate ricchezze.
Niclas Dünnebacke, rifugio d’emergenza, Saint Denis – Francia, 2013; foto Inexhibit
ARCHITETTURA ORDINARIA, TERRITORI FAMILIARI
I “grandi progetti” eccezionali, i nuovi quartieri delle città più ricche attirano certamente l’attenzione. Questi progetti non sono di per sé un problema, le metropoli portano inconsapevolmente una parte importante d’innovazione, sempre che abbiano la fortuna di un governo illuminato e dei mezzi sufficienti da investire. Da Jean Nouvel a LAN, dall”île di Nantes a Parigi-Batignolles, è questa l’architettura francese conosciuta all’estero: questo fa pensare che il resto del territorio sia abbandonato ad uno sviluppo automatico, appena regolato da una pianificazione immatura, dove l’architettura sarebbe rara, senza riflessione collettiva o senza attenzione. Può essere l’impressione che lasciano le lottizzazioni residenziali o le zone d’attività uniformi.
Jean-Cristophe Quinton, Maison-grange a Paline de Caen – Francia, 2015, foto (c) Inexhibit.
Noi pensiamo che tutti i territori presentino delle risorse e dei punti di forza. Straordinarie qualità sono latenti, in tutti i luoghi ordinari del territorio. Per quanto poco gli si presti attenzione, li si coltivi, li si rilevi…
Ciò e vero per tutti i campi, anche l’economia: a forza di ripetere che la ricchezza, legata alla globalizzazione, è creata dalle grandi metropoli, non si sa più cosa pensare degli altri luoghi, e neanche di coloro che, nella metropoli, accolgono spesso in modo precario, tutti quelli che sono esclusi dal reddito o dalla rendita.
Ciò è vero anche per l’architettura: a forza di celebrare le “archistar” ed i progetti dispendiosi, dimentichiamo che l’architettura apporta delle risposte semplici, adatte al contesto, condivise ed efficaci nella maggior parte delle situazioni, più ordinane e più modeste, ovvero nei luoghi dove abitiamo e dove lavoriamo. È di questo che noi vogliamo parlare.
Jean & Aline Harari, 60 unità abitative, Chanteloup-en-Brie – Francia, 2013, foto Inexhibit
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