Il Museo Guggenheim di Frank Lloyd Wright, una rivoluzione americana
Proprietario: The Solomon R. Guggenheim Foundation
Solomon R. Guggenheim Museum Restoration Completion. Fotografia di David Heald © The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York
“Mi serve un combattente, un amante dello spazio, un ideatore, uno sperimentatore ed un uomo saggio” (Dalla lettera di Hilla von Rebay a Frank Lloyd Wright , Giugno 1943)
IL MUSEO GUGGENHEIM, UNA RIVOLUZIONE AMERICANA
Introduzione
Il concetto di museo aperto al pubblico nasce in Italia durante il Rinascimento; i Musei Capitolini e i Musei Vaticani sono state probabilmente le prime istituzioni che potremmo definire “musei”, mentre l’Ashmolean di Oxford è forse l’archetipo del museo moderno, il primo aperto a tutti e il primo ospitato in un edificio realizzato appositamente per quella funzione. Da allora in concetto di edificio museale è rimasto sostanzialmente immutato per quasi tre secoli: una sequenza di sale allineate dove le opere sono esposte secondo un percorso prestabilito, di solito in ordine cronologico oppure in gruppi tematici, in modo da poterle apprezzarle una dopo l’altra. Questo modello di museo è il più comune anche oggi e lo era sicuramente nel 1943, quando Hilla von Rebay, responsabile della collezione di Solomon R. Guggenheim, scrisse una lettera a Frank Lloyd Wright chiedendogli di progettare un nuovo edificio che potesse ospitare la collezione di pittura “non oggettiva” del magnate americano.
Il desiderio del cliente era di realizzare uno spazio che potesse generare una stretta relazione fra arte e architettura, come scrive Hilla von Rebay nella lettera indirizzata a Wright: “…ognuno di questi grandi capolavori dovrebbe essere organizzato nello spazio poichè (essi) sono ordine, creano ordine e sono sensibili allo spazio che li ospita.“
Sopra e sotto, Solomon R. Guggenheim Museum Restoration Completion, Foto di David Heald © The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York
Il Guggenheim in costruzione nel 1957, foto di Gottscho-Schleisner, Inc., courtesy of the Library of Congress, Washington
La nascita del museo Guggenheim
Il compito a cui Wright fu chiamato richiedeva una concezione del museo totalmente nuova.
Il primo problema fu quello di trovare un terreno adatto allo scopo: è noto che Wright non apprezzasse molto New York, una città che percepiva come “sovradimensionata e sovrappopolata” e per di più priva del rapporto con la natura che costituisce uno dei punti chiave della sua visione architettonica. Tra i molti presi in esame l’unico lotto sufficientemente stimolante fu individuato ai margini di Central Park, un luogo idilliaco all’interno del denso agglomerato urbano di Manhattan.
La concezione dell’edificio deriva probabilmente da un progetto precedente di Wright, non realizzato; il Gordon Strong Automobile Objective, una bizzarra struttura panoramica la cui cima veniva raggiunta dai visitatori guidando l’automobile lungo una gigantesca rampa a spirale.
La gestazione del progetto non fu semplice; Wright preparò quattro versioni iniziali dell’edificio, tre a pianta circolare ed una a pianta esagonale, ma non era chiaro se l’aspetto volumetrico dell’edificio avrebbe dovuto essere orizzontale o verticale e neppure se l’esterno della costruzione dovesse essere colorato o monocromo; inoltre il rapporto tra architetto e cliente, ed in particolare con Hilla Rebay, non fu sempre facile.
Una versione del progetto , piuttosto simile a quello realizzato, era sostanzialmente definita nel Settembre 1945; nonostante questo occorsero ancora 14 anni per vedere l’edificio completato, principalmente per problemi legati ai permessi edilizi e per la tormentata relazione tra Wright e James Sweeney, il nuovo direttore del museo subentrato dopo le dimissioni di Hilla Rebay nel 1952.
Wright e Gugghenheim non riuscirono a vedere il Museo completato, che fu inaugurato nell’ottobre del 1959.
Un disegno a inchiostro di Wright del Settembre 1943 che mostra una delle versioni di colore rosso. © The Frank Lloyd Wright Foundation, Scottsdale, Arizona
Uno spazio espositivo rivoluzionario
Lo spazio espositivo immaginato da Wright è rivoluzionario: un unico ambiente avvolgente nel quale visitatori sono dapprima portati al livello più alto da un ascensore, e poi invitati a scendere percorrendo la rampa sulla quale sono esposte le opere. La scansione dello spazio è affidata a setti portanti posizionati a una distanza corrispondente a un angolo di 30 gradi sulla circonferenza generatrice della spirale. Percorsi e aree espositive sono unificati, non ci sono né sale tradizionali, né remote “camere del tesoro”. L’intero spazio può essere percepito da ogni punto dell’edificio e i visitatori sanno sempre dove sono e verso cosa si stanno muovendo. Dall’aula centrale (la Rotunda) la spirale della rampa e le opere esposte sono visibili nel loro insieme.
Sopra: Uno schizzo originale di Wright dell’interno del Guggenheim, The Frank Lloyd Wright foundation – Scottsdale – Arizona
Sotto: Una vista dell’installazione RUSSIA! 2005. Foto: David M. Heald © The Solomon R.
Guggenheim Foundation, New York
Il concetto rivoluzionario ha anche i suoi svantaggi: nel Guggenheim non ci sono pavimenti in piano, ad eccezione dello spazio di ingresso centrale che Wright non intendeva usare come spazio espositivo bensì come uno spazio di socializzazione; non ci sono pareti rettilinee alle quali fissare agevolmente i dipinti, e la ridotta altezza delle rampe non permette l’esposizione di grandi opere. La gran parte delle opere a parete deve essere montata sui muri perimetrali inclinati attraverso delle speciali barre metalliche distanziatrici (benchè Wright prevedesse che fossero fissati seguendo l’inclinazione dei muri stessi).
Molti artisti, all’epoca del progetto, temevano che le loro opere potessero essere sovrastate dall’architettura del museo ed erano preoccupati che il loro lavoro potesse non essere percepito con la dovuta concentrazione: in una lettera del 1956 a Sweeney, 32 artisti fra i quali De Kooning e Motherwell, esprimono chiaramente il loro disappunto : “L’idea di esporre dipinti e sculture in un ambiente curvilineo ed in pendenza indica un irrispettoso disprezzo per l’imprescindibile contesto lineare indispensabile ad una adeguata contemplazione visiva delle opere d’arte”.
Il fatto è che il gesto di Wright richiedeva anche un approccio museografico totalmente nuovo. Un esempio interessante è legato all’esposizione delle sculture. Dal momento che l’intero spazio espositivo è inclinato, e che le pareti che lo definiscono non sono verticali, le soluzioni possibili erano solo due: seguire l’inclinazione della rampa oppure esporli in posizione perfettamente verticale utilizzando piattaforme regolabili. L’esperienza ha dimostrato che la particolare geometria dell’edificio produce una illusione ottica per cui una scultura perfettamente verticale sembra fastidiosamente inclinata. Secondo alcune fonti dell’epoca, l’allora direttore del Guggenheim Thomas M. Messer, trovò una soluzione nell’uso di un supporto inclinato di un angolo specifico, in modo che le sculture potessero apparire verticali anche se in realtà non lo erano.
Sopra: Solomon R. Guggenheim Museum. Installation view of The Aztec Empire, 2004. Photo: David M. Heald, © SRGF, New York.
Sotto: Installation view: Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, February 21–September 1, 2014. Photo: Kris McKay, ©SRGF
Nel 1992 è stata realizzata un’estensione del museo su progetto di Gwathmey Siegel & Associates. Seguendo I disegni originali di Wright è stata aggiunta una torre di 8 piani a base rettangolare a fianco dell’edificio principale in modo da estendere il museo con un più tradizionale spazio espositivo, nel quale si possono facilmente esporre grandi dipinti, sculture e installazioni.
Sopra: la nuova torre è visibile in secondo piano sulla sinistra. Solomon R. Guggenheim Museum Restoration Completion, Photograph by David Heald © The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York.
Sotto: una delle sale espositive aggiunte nel 1992.Installation view: Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, February 21–September 1, 2014. Photo: Kris McKay, ©SRGF
L’illuminazione del museo
L’illuminazione naturale è stata un punto chiave del progetto di Wright; un grande lucernario che copre lo spazio centrale genera una luce diffusa in tutto l’edificio mentre il taglio continuo della apertura a nastro lungo la spirale garantisce l’illuminazione delle opere esposte.
La ragione per tale attenzione alla luce naturale risiede nell’avversione di Wright per l’illuminazione artificiale che riteneva “disonesta”, aggiungendo in una lettera a Sweeney del 1955 che “una persona ragionevole dovrebbe convenire che ogni immagine presentata con un’illuminazione immobile è solo un’immagine immobile! Se questa immobilità rappresenta una condizione ideale allora anche la morte è uno stato ideale per l’umanità.Un obitorio!”
Ciò nonostante alla fine un sistema di illuminazione artificiale fu introdotto, in modo da permettere un’illuminazione appropriata delle opere in tutte le condizioni.
Sopra: Solomon R. Guggenheim Museum. Installation view of Picasso and the Age of Iron, 1993. Foto: David M. Heald, © SRGF, New York.
Sotto: Installation view: Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, February 21–September 1, 2014. Photo: Kris McKay,©SRGF
L’eredità del Guggenheim di Wright
Una questione interessante è se il design di Wright per il museo Guggenheim sia diventato un modello. Ci sono pochi musei che presentano uno spazio espositivo a rampa e molti di loro sono musei dell’automobile (come il museo della BMW, quello della Mercedes-Benz in Germania e in parte anche il museo Ferrari di Modena di Future Systems) che richiamano in un certo senso quel Gordon Strong Automobile Objective che fu forse il punto di partenza per Wright quando iniziò lavorare al Guggenheim. Alcuni altri, come il Macba di Barcellona, il museo di Denver di Libeskind, il museo di Hanoi e il museo ellenico di Atene, presentano grandi rampe iconiche che però raramente sono utilizzate come vero e proprio spazio espositivo. Forse, l’esempio che più si avvicina al concetto museografico del Guggenheim è un museo ospitato in un edificio realizzato in origine per uno scopo assai diverso, ovvero il Museo del Cinema di Torino ospitato nella Mole Antonelliana, l’ edificio concepito nel XIX secolo da Alessandro Antonelli per essere una Sinagoga. La rifunzionalizzazione della Mole in vista del suo utilizzo come museo ha previsto l’inserimento di una lunga rampa elicoidale che viene utilizzata per l’allestimento di mostre temporanee.
Sinistra: il museo della Mercedes-Benz a Stoccarda di UN Studio, foto Brigida González © Mercedes‑Benz Group AG. Destra: il museo BMW a Monaco disegnato da Atelier Brückner, courtesy of BMW AG.
Ciò che nel progetto di Wright per il Guggenheim di New York è invece diventato un archetipo per molti musei contemporanei è il principio che vede il museo come un unico spazio ininterrotto ed interconnesso, in cui tutte le parti dell’edificio sono messe in relazione, o attraverso un grande vuoto centrale o attraverso lo slittamento reciproco dei piani orizzontali all’interno di uno spazio unificante.
Probabilmente è questa la grande eredità del progetto di Wright: i musei del nostro tempo sono sempre più pensati come istituzioni educative e socializzanti, dove la cultura può essere trasmessa anche ad un vasto pubblico non specializzato, all’interno di uno spazio meno “sacralizzato” rispetto alle architetture museali tradizionali. Luoghi nei quali gli oggetti, le opere d’arte e lo spazio sono gli attori di un’esperienza percettiva globale, multiforme e complessa.
Sinistra: Il Museo del Cinema di Torino © Inexhibit
Destra: lo spazio centrale del MUSE di Trento di Renzo Piano Building workshop © Inexhibit.
Il Solomon R. Guggenheim Museum di New York è uno dei più prestigiosi musei d’arte moderna e contemporanea al mondo ed uno dei simboli di Manhattan
Frank Lloyd Wright
New York City
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