Vino Arte e Architettura: la ricetta del successo?
Le Puy-Sainte-Réparade
Foto: (c) Inexhibit
Vino, Arte e Architettura: la ricetta del successo? | Breve resoconto semiserio su Château La Coste
Il sole è a picco e ci sono 40 gradi all’ombra. Davanti a noi una stradina bianca e vigne basse all’orizzonte. Abbiamo di sicuro sbagliato sentiero, il nostro cane tira il guinzaglio verso l’ ombra di un albero isolato. Consultiamo la mappa che ci è stata fornita dal solerte impiegato della reception ma ci si capisce poco, dato che gli incroci dei sentieri sono qua e là coperti da un alberello, un cespuglio, una casetta. La carta infatti, forse per un eccesso di zelo del disegnatore, è rappresentata non in pianta ma in volume, secondo i principi della prospettiva a volo d’uccello.
Sempre più accaldati cerchiamo di rintracciare i punti di riferimento sulla mappa ormai ridotta a un cencio quando dall’aria densa ci appare qualcosa. Qualcuno che viene a salvarci pensiamo, e infatti una piccola motrice bianca modello golf-club avanza sibilando e trascinando alcune carrozze aperte sui lati dalle quali spuntano i visi arrossati di una comitiva di giapponesi.
Fra le intemperanze dei passeggeri, il gentile ragazzo che conduce il mezzo ci indica la direzione giusta per arrivare in tempo alla visita guidata del nuovo nato di Château La Coste, il padiglione espositivo progettato da Renzo Piano, di recente inaugurato.
Sullo sfondo il “Pavillon d’Exposition” di Renzo Piano, 2017
Siamo nel bel mezzo della Provenza, a una ventina di chilometri a nord di Aix-en-Provence. Percorrendo la D14 si raggiunge Le Puy-Sainte-Réparade, dove si trova la tenuta Château La Coste, sottotitolo “Vin-Art-Architecture”.
Qui, mister Patrick McKillen, collezionista e magnate delle costruzioni di origini irlandesi, nel 2003 ha deciso di investire un bel po’ del suo denaro per acquistare e trasformare un’azienda vinicola di modesto valore in un vero affare, creando la ricetta perfetta per il successo: vino, arte e architettura contemporanea. Ecco dunque spiegato il mistero dei giapponesi alticci.
Niente di nuovo si potrebbe pensare, visto che negli ultimi dieci anni sono state molte le aziende vinicole, anche in Italia, ad affidare la progettazione delle loro sedi produttive ad architetti più o meno noti. Ma qui c’è altro: non si tratta della sede di un’azienda vinicola progettata da un buon architetto, anche (non siamo ingenui) per uno scopo commerciale, qui si tratta di un progetto ambizioso, studiato per affascinare una fetta di pubblico pagante e ansiosa di sentirsi parte di un’elite di estimatori. Ma estimatori di che cosa? La formula è presto svelata: tutta la tenuta, visitabile a pagamento (15 euro l’ ingresso per la “Visit Art & Architecture”, ma esistono anche altre formule che comprendono le degustazioni dei vini) è costellata da piccole costruzioni, padiglioni e installazioni artistiche i cui autori sono nomi di richiamo internazionale. Nomi conosciuti, almeno per sentito dire, anche dai più distratti e meno avvezzi a frequentare abitualmente il mondo dell’architettura e dell’arte.
Oltre al “gate”, a Tadao Ando sono stati affidate ben tre opere: l’edificio d’ingresso alla tenuta “Centre d’art” – che comprende un parcheggio interrato, la reception con annesso negozio e ristoranti – la cappella e il padiglione “Four Cubes”; a Frank O. Gehry si deve lo spazio per concerti all’aperto “Pavillon de Musique”, una tagliente struttura che sembra il prodotto di un gigantesco frullatore nel quale siano state inserite a caso travi in acciaio e lastre di cristallo; Renzo Piano è l’autore, come già detto, del recente padiglione espositivo (vedi l’approfondimento su Inexhibit) e Jean Nouvel ha progettato due nuovi avveniristici volumi tecnici per la vinificazione “Chais de Vinification”. Le installazioni artistiche disseminate lungo i sentieri sono, fra gli altri, di Alexander Calder, Louise Bourgeois, Ai WeiWei, Michael Stipe (sì, quello dei REM), Richard Serra, Tatsuo Miyajima, Tom Shannon.
Se il valore di ognuna delle singole opere non è qui in discussione, qualche dubbio sorge a proposito della concezione generale del progetto Château La Coste. Per tutto il tempo che sono rimasta nella tenuta ho avuto la percezione di un’operazione che non va oltre l’idea di una costosa collezione di opere di autori noti. Un’ occasione persa, date le risorse in gioco. Il carattere del luogo, così fortemente segnato dalla coltivazione delle viti, avrebbe meritato uno sguardo più attento e un progetto generale capace di evocare corrispondenze fra l’arte, lo spazio (e dunque l’architettura) e quello specifico territorio. Al contrario, molte delle installazioni e delle costruzioni realizzate nella tenuta potrebbero stare da qualsiasi altra parte del globo.
L’impressione infine è che a Château la Coste l’architettura e l’arte non siano altro che un’intrattenimento, da consumare distrattamente subito prima di passare dalla boutique per acquistare sei bottiglie di rosé.
Château la Coste comprende l’hotel con SPA, “Villa la Coste”- il prezzo in bassa stagione parte da 600 euro a notte – e ristoranti stellati guidati con mano sicura da chef internazionali.
P.S. Se decidete di farci un salto partite organizzati: a luglio 2017 una bottiglia d’acqua da 75 cl. al bar costava 5 euro, e non ci sono fontanelle pubbliche.
Il vino non l’abbiamo assaggiato, pardonnez-nous.
Frank O.Gehry, due viste del “Pavillon de Musique”, 2008, foto Inexhibit
“La Terrasse, Café du potager”, foto Inexhibit
La scultura di Tom Shannon “Drop” (2009) riflette il paesaggio, foto Inexhibit
Tadao Ando, padiglione “Four cubes to contemplate our environment”, 2008/11. Foto Inexhibit
L’edificio principale di Château La Coste progettato da Tadao Ando. Foto Inexhibit, 2017
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